Michele Abbondanza/ Compagnia Abbondanza Bertoni in scena con Doppelgänger e C’è Vita su Venere dal 20 al 22 Gennaio
Doppelgänger indaga “la dualità come differenza, l’opposto che dà origine al mistero” In che modo la drammaturgia dialoga con i corpi in scena e quanto viceversa i corpi hanno informato la drammaturgia?
I corpi danno sempre informazioni preziose e fondamentali. Questo sia per quanto riguardo l’esecuzione coreografica in senso stretto, cioè basata sulla memoria e preparata che quella più estemporanea tipica dell’atto improvvisativo. Il lavoro è quello di superare l’apparente contraddizione che può apparire tra questi due termini: ma preparazione e spontaneità hanno dovuto convivere soprattutto in uno spettacolo come questo. Il dialogo con e fra gli interpreti è stato continuo e alimentare questa intimità ha contribuito a creare nei corpi i presupposti più importanti e le “informazioni” più preziose per il percorso drammaturgico.
Qual è stato il processo di lavoro coreografico che ha portato a Doppelgänger e quali scoperte legate alle qualità dei rispettivi corpi in scena hanno interessato il processo di scrittura del lavoro?
Il processo di lavoro coreografico è stato figlio di un reciproco e graduale avvicinamento e conoscenza. Sono state proprio le specifiche qualità degli interpreti a dare la linfa più importante e significativa al processo di costruzione di Doppelgänger. È avvenuto tutto quasi naturalmente e abbiamo lasciato che gli episodi, gli incontri, gli esperimenti, le sfide e i traguardi si alternassero in una maniera che fosse il più possibile vicina al sentire del gruppo. Mai come in questo lavoro la qualità dei corpi in scena è maturata man mano durante le prove partendo anche dalla considerazione e riflessione su di un fatto semplicissimo: la differente e opposta configurazione, massa e forma dei due danzatori; il gigante e il bambino si specchiano l’uno nell’altro, rilevando oltre all’aspetto fisico, intrecciate relazioni psicologiche e sentimentali. Il “gigante” può sopraffare “il bambino” il quale però, più antico e saggio, potrà trovare la giusta osmosi con l’altro, nel trionfo amaro della sua fragilità.
Il sistema delle arti performative italiano attuale è secondo voi accessibile a corpi non conformi?
Penso che un corpo sia sempre accessibile e possa a sua volta sempre accedere là dove il suo andare sia verso altri corpi. Questo vale anche per corpi non conformi. Diverso è il discorso se parliamo di luoghi fisici e strutture: qui si apre un capitolo immenso e credo che il lavoro da fare in questo senso sia ancora molto.
Anche a C’è vita su Venere, “mette in evidenza la differenza e le diversità del corpo, tra anatomia e un senso più soggettivo del fisico femminile, nell’evolversi dell’età e del tempo”.
Come la danza rilancia gli immaginari legati al corpo e come immaginiamo quello sul palco di domani?
L’arte dal vivo, cioè quella con corpi e/o materiale “vivo” in scena, gode di una continua benedizione: richiede ai suoi interpreti l’essere contemporaneamente opera e autore. Questo passaggio obbligato comporta secondo me una grande responsabilità e può creare una forte carica e sinergia fra chi sta in scena. Ritengo che questo possa essere nella danza, così come nel teatro, un amplificatore naturale e direi quasi infallibile nel transito tra scena e platea, per cui gli immaginari che può rilanciare possono essere molto potenti e prefigurare, preparando terreno fertile, estasi, incubi, visioni, allucinazioni e sogni. Insomma, abbiamo provato a ripetere l’antico e infinito mestiere del teatro e della danza (e dell’arte più in generale), destinato a rendere visibili e possibili utopie e desideri.
Potreste donarci delle parole chiave da depositare nel nostro archivio di desideri legati al corpo in scena Diafanie. Appunti sul corpo?
Permettetemi di lasciarvi qualcosa che non contenga consigli né morali: una semplice battuta tratta dalle prove dello spettacolo.
Filippo: “NETTUNO ?”
Francesco: “61 !”
Nei primissimi giorni durante uno degli esercizi di preparazione, c’è stato il primo scambio di battute tra di loro ed è rimasto, all’interno del gruppo di lavoro, memorabile, tantoché il nonsense “Nettuno 61” ha rischiato di diventare il titolo dello spettacolo