1) Un attacco In Levare in musica è posizionare l’accento su una nota debole, quel sospiro che ci allevia per un attimo da un continuo battere. In Levare però è anche ribellarsi, levarsi a rumore insieme. Per la tua vocazione e ricerca artistica, ti ritrovi più nella prima o nella seconda definizione?A cosa ti rimanda “In levare” (titolo della nostra stagione)?
Michele Di Stefano: Personalmente l’associazione più immediata è con uno ‘strumento di lavoro’, al di là delle metafore; avendo un grande interesse per l’indagine ritmica e per il modo in cui il corpo si relaziona al circostante – all’atmosfera in cui è immerso – la condizione ‘in levare’ è una qualità della presenza, un modo per considerare l’atto scenico come il ritmo di una costante scomparsa, qualcosa che si compie solo per togliersi di mezzo. Cioè per continuare a spostarsi.
2) Ci racconti in che modo Panoramic banana si richiami alla necessità di riteorizzare, spostare, assorbire e fornire riscatto al “selvaggio”?
Michele Di Stefano: ‘Selvatico’ e ‘selvaggio’ sono parole che utilizziamo quando cerchiamo conforto nella ricerca e sentiamo l’urgenza di uno scatenamento senza necessariamente volerne definire gli orizzonti: un’attrazione verso il disordine ed il caos. Qualcosa che non si contestualizza culturalmente come riferito al primitivo, all’indigeno, al naturale; piuttosto qualcosa che rivendichiamo per le nostre vite quando sentiamo che dobbiamo far saltare gli ingranaggi delle egemonie, di qualsiasi tipo. Per me, nessuno lo ha detto meglio di Michael Taussig: « E’ lo spirito dell’ignoto e del disordine, che vaga allo stato brado nella foresta, intorno alla città e ai campi, distruggendo le convenzioni su cui si basano il significato e i sistemi con cui si dà forma alle immagini. Il selvaggio è una sfida lanciata all’unità del simbolo, alla totalizzazione trascendente che lega l’immagine a ciò che questa rappresenta, il selvaggio si insinua in questa unità e la forza, aprendola, crea al suo posto uno slittamento, un’articolazione che fa scontrare tra loro significato e significante. Di questo scontro il selvaggio fa spazi di tenebra e di luce in cui gli oggetti, in una nudità screziata, restituiscono lo sguardo, mentre intorno i significanti fluttuano nel vuoto. Il selvaggio è lo spazio della morte della significazione».