Michele Di Stefano/mk ospitato in residenza con SFERA – altri sistemi coreografici
“Sfera si affida a un mescolamento caotico di individui, condizionato dall’immediatezza e dalla perdita di definizione tra i corpi”. Come si sviluppa e da dove parte questa ricerca sulla perdita di definizione?
Tutta la mia ricerca corporea è in fondo determinata dalla perdita di confine, in particolare il confine della ‘figura’, la dissolvenza dell’immagine; un corpo è essenzialmente ciò che sta per commettere, la sfera corporea diventa un’onda in espansione che si rifrange su altre onde e le assume come parte di sé. La permeabilità è un fatto concreto della superficie corporea e coincide con una forma di intimità che confonde il dentro ed il fuori, che accetta di non poter fare a meno dell’altro corpo per definirsi. Pensare sé stessi anche come risultato di una valutazione del mondo circostante vuol dire conferire alla presenza scenica una specie di ‘intenzione ambientale’; tutti noi lo facciamo sempre in pubblico, sono affascinato dall’idea di esplorare questa possibilità di mescolanza in ambito coreografico, scoprire che c’è una esattezza nello scioglimento, nell’abbandono di sé, che possa creare nuovi parametri anatomici, culturali, estetici anche.
Cosa intendi per “corpo immediato”?
Un corpo euristico, che calcola in tempo reale, che si adatta rapidissimamente; un corpo che assume questa capacità intrinseca ad ogni organismo e la adotta come strategia di scrittura ‘alla prima’, avendo sempre in mente un quadro più ampio, una proiezione nel tempo che permette al sistema coreografico di installarsi in uno spazio e di trasformarne la densità, oltre che determinare la necessitò della sua durata. Un corpo pronto all’immediatezza ha una qualità che informa l’anatomia e la dinamica del movimento; questa qualità ha molto poco a che fare con l’istinto, che permette di sicuro buone strategie di improvvisazione ma escluderebbe molto altro, essenziale per me. Non sono sicuro che l’improvvisazione abbia un ruolo qui, perché parlo di un corpo molto condizionato e preciso, incline a scartare moltissime opzioni istintive.
Che rapporto c’è tra la parola, gli immaginari pop e il corpo? Come quest’ultimo è informato dal linguaggio (nell’ambito della performance)?
Nella performance c’è una intera sezione dedicata al dire. Usiamo la parola come emissione ma non nel senso puramente materico e sonoro, si tratta più di dare una postura al discorso, di mettersi nella condizione di dire, argomentare, sputare fuori interi paragrafi ed elenchi con un loro senso, che si perde però nella significanza pura del desiderio di fare ‘coro’; il linguaggio diventa presa di posizione e quindi un altro territorio coreografico dove poter dire qualunque cosa restando in bilico tra significanza e significato, una specie di sonar che si rifrange sui corpi circostanti, per il quale è necessaria una tattica, in cui la posizione conta più del senso. E in fondo c’è una ‘minaccia di archivio’ – non so usare un’altra espressione – come se il continuare incessantemente a dire in queste condizioni stesse producesse una nube nera che sovrasta i corpi piuttosto che un racconto che li faccia emergere sulla scena. E’ meno pop di quanto sembri, è inchiostro nero.
Puoi donarci delle parole chiave da depositare nel nostro archivio di desideri legati al corpo in scena Diafanie. Appunti sul corpo?
Tempo.
A tempo.
Temporale.
Meteorologia.
Danza della pioggia.