Shifting the silence si sviluppa come una ricerca in movimento, un campo aperto in cui memoria e presenza si scontrano. Parte dal corpo come luogo di inscrizione, segnato dall’esilio, dall’eredità coloniale e dalle fratture dello sfollamento. In che modo i corpi portano con sé storie di violenza e cancellazione, e come può la danza rifiutare queste eredità trasformando la vulnerabilità in rivolta?
La ricerca attinge a molteplici tradizioni di movimento: la dabke, con la sua forza comunitaria e la sua sfida alla frammentazione; il balletto, con la sua disciplina verticale e il peso della sua eredità europea; e la danza contemporanea, porosa e ricercata, inquieta nel suo desiderio di smantellare e ricostruire la forma. Questi vocabolari non si armonizzano, ma si scontrano, si interrompono e si disturbano a vicenda, producendo una coreografia in cui le sottomissioni culturali sono sia ricordate che destabilizzate. Movimento e musica esistono in reciprocità. L’atto di produrre suoni è coreografico, modella l’aria in ritmo, mentre l’atto coreografico è musicale, incide il tempo con melodie incarnate. Questo incrocio di discipline crea un corpo che è allo stesso tempo strumento e archivio: un contenitore di lutto, un testimone di storie e un impulso che si protende verso futuri immaginari.