Il selvaggio è una sfida lanciata all’unità del simbolo, alla totalizzazione trascendente che lega l’immagine a ciò che questa rappresenta, il selvaggio si insinua in questa unità e la forza, aprendola, crea al suo posto uno slittamento, un’articolazione che fa scontrare tra loro significato e significante. Di questo scontro il selvaggio fa spazi di tenebra e di luce in cui gli oggetti, in una nudità screziata, restituiscono lo sguardo, mentre intorno i significanti fluttuano nel vuoto. Il selvaggio è lo spazio della morte della significazione. (Michael Taussig)
La nuova produzione di mk è un caleidoscopio di danze ed immagini immerse in una sonorità ibrida, calda come una fornace. Una produzione incessante di sistemi coreografici che sembrano rimandare ad un nuovo folklore, evocativo di un mondo a venire, in cui il disordine delle cose è la regola, e l’ambiente si fa torbido e pulsante, finalmente indisturbato nel suo desiderio di ‘rewilding’. Mentre gli etnologi finalmente si riconvertono ad esaminare l’ultima inossidabile tribù ancora in circolazione – quella turistica – e gli antropologi si danno alla macchia occupandosi di serie televisive, il pensiero selvaggio viene dimenticato dall’entertainment ma prolifera indisturbato nella foschia, senza proclami di riscatto ma proprio per questo assolutamente cruciale per il futuro dell’umanità. Futuro sonoro, acquatico, tropicale, a 40 gradi all’ombra, epidemico, balsamico, anatomico e umido.