1) Un attacco In Levare in musica è posizionare l’accento su una nota debole, quel sospiro che ci allevia per un attimo da un continuo battere. In Levare però è anche ribellarsi, levarsi a rumore insieme. Per la tua vocazione e ricerca artistica, ti ritrovi più nella prima o nella seconda definizione?A cosa ti rimanda “In levare” (titolo della nostra stagione)?
Roberto Castello: “In levare” mi fa innanzitutto pensare all’urgenza di abituarsi a sottrarre, a togliere, alla necessità di smettere considerare la sovrabbondanza un bene. La seconda cosa cui In Levare mi fa pensare è che non esistono forme di ballo senza ‘levare’.
2) Se penso al sesso degli angeli, devo sforzarmi, aldilà delle iconografie, di immagine un corpo “neutro”, privo di carica erotica. Può esistere qualcosa come un corpo neutro in scena? Dove ci porta il tuo Il sesso degli angeli?
Roberto Castello: Non vedo motivo per cui gli angeli debbano essere privi di un’identità di genere e di carica erotica. Tutti i corpi ce l’hanno, nasconderla non è nelle mie intenzioni, così come non lo è quello di enfatizzarla. Il mio lavoro non parla di angeli ma del parlare senza intenzione di significare e del senso che comunque emerge. Di come una regia, un testo coreografico, per quanto scabro e asimmetrico, possa comunque arrivare a toccare lo spettatore.
Nei mie rapporti con le persone le questioni di genere non hanno mai avuto alcun peso e nutro una profonda diffidenza per tutte le categorie e le tassonomie, anche quelle di genere. Ma se ‘Il Sesso degli angeli’ mai trattasse di qualcosa, il che non è, sarebbe piuttosto del fatto che nel nostro mondo ci sono molti così privilegiati da non essere più neppure in grado di rendersene conto. Discettare del sesso degli angeli non è per definizione privilegio di chi non rischa di morire di fame?