II tappa della “Trilogia_Il linguaggio corporeo e l’arte di A.Mendieta, C.Cahun, S.Moon”
L’arte non è un mezzo di fuga, ma un laboratorio performativo e performante dove il corpo si espone, mette in scena le sue latenze, l’intuizione di nature altre. Quale è la lingua che meglio cattura o si fa canale, passaggio, anche solo sporadico di segni eloquenti, di anomalie perturbanti non riducibili all’ordinario? Quale sprofondamento corporeo può essere convocato per facilitare l’emersione di nodi vitali, zone porose? Se non ci fosse la negoziazione dell’atto della comunicazione, chi avrebbe il coraggio di annunciare i propri demoni, i propri angeli? Scorgo una terra sconosciuta e magnetica nel confine come luogo al margine del senso e dell’azione.