Partendo da una riflessione sulla vanitas come genere pittorico, Giovanfrancesco Giannini, Fabio Novembrini e Roberta Racis declinano nel contemporaneo l’iconografia della vanità in relazione al macro tema della crisi del nostro tempo. In un Eden immaginario, figure archetipe si perdono in sé stesse e, attraversando atmosfere cupe e devianti, scandiscono l’inesorabilità di un tempo funesto, morente. La violenza, la morte e il carattere effimero della vita e della giovinezza si dispongono in composizioni icastiche che emergono dal buio dello sfondo. Le immagini filmate dal vivo si costellano di fiori e frutti recisi, candele e clessidre che alludono alla finitudine umana, a una realtà e a una storia che periscono. Il ritmo con cui le nature morte vengono composte per essere esposte, zoomate, messe in primo piano e poi disfatte scandisce una catabasi in cui il corpo diventa una cosa in mezzo ad altre cose. Inquietudine, crisi di pensiero, vuoto di senso: la vanità come legge del mondo. Ma nel monito della morte c’è un inno alla vita che parla di un binomio indissolubile: non ci può essere futuro senza la morte del mondo così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora.