Flavia Dalila D’Amico: Un attacco In Levare in musica è posizionare l’accento su una nota debole, quel sospiro che ci allevia per un attimo da un continuo battere. In Levare però è anche ribellarsi, levarsi a rumore insieme. Per la tua vocazione e ricerca artistica, ti ritrovi più nella prima o nella seconda definizione?A cosa ti rimanda “In levare”?
Giannini, Novembrini, Racis: Il levare come immagine se dovessimo provare a incorporarla, ci riporterebbe al respiro. Quell’attimo prima del vuoto, in quei secondi in cui la sospensione si fa presente e tutto può accadere. Il levare è anche quel momento delle possibilità che si esprime nel concetto di pulsazione e quindi di tempo. Una riflessione sul tempo, sulla sua percezione e sulla sua impermanenza è fortemente presente nel nostro lavoro. Per questo per esempio usiamo come qualità del corpo lo slow motion nella costruzione ritmica della scena. Il levare a cui facciamo riferimento contiene la capacità di lenire e alleviare ma conserva anche una visione critica nei confronti del presente e del suo ritmo.
FDD: Da dove nasce il desiderio di riflettere sulla vanitas? Come declinate l’iconografia della vanità in relazione ad oggi?
GNR: Quando abbiamo iniziato a parlare del lavoro, abbiamo subito pensato al potenziale poietico inscritto nella Vanitas come iconografia e genere pittorico. La Vanitas non racconta e non si limita a mostrare ma evoca, lasciando a chi guarda la ricerca del significato e del significante. Abbiamo cercato di tradurre questo valore intrinsecamente metaforico nella performance, creando un’esperienza sensoriale, emotiva e visiva, impregnata di nostalgia e di inquietudine ma traboccante di vita. Le nostre domande sulla caducità del tempo, sul senso dell’arte, sulla delicatezza e insieme sulla drammaticità della vita e sulla sua sensualità sono state il nostro punto di partenza e si sono fatte più necessarie nell’attuale scenario di crisi, violenza economica e di guerra. La vanitas è solo una delle tante immagini che ci riportano all’alienazione e all’egoismo solitario che contraddistingue il nostro presente. In questo lavoro, la vertigine del corpo e della giovinezza come indagine sull’essere umano, sul suo desiderio di vita e di bellezza e sul suo continuo illudersi che l’esistenza consista nel godimento di questa bellezza ,permette di demistificare il mito dell’eterna giovinezza. Se la vita è spesso dolore, malinconia e disincanto abbiamo sempre paura di perdere uno sguardo ancora incantato sul mondo, un pensiero sul futuro nonostante crisi e paure.