Molte persone non europee, non occidentali e non ricche, non possono decidere se spostarsi, dove andare, o ritornare a loro piacimento verso la loro terra natale, come io posso fare. Non possono perseguire l’aspirazione al cambiamento, qualunque esso sia, o verso una crescita culturale, qualunque essa sia, come io invece ho il privilegio di poter fare. L’impossibilità di muoversi liberamente è una questione evidente e pressante. Anche se una performance non ha alcun potere e di fatto non fa nulla nei confronti delle politiche migratorie, con questo lavoro, desidero celebrare qualunque sforzo che promuova il progredire collettivo verso un futuro di maggiore speranza.
Irene Russolillo
Fatigue è una performance corale vocale e fisica sull’atto di andare avanti, in un percorso che evoca una scalata e una processione. Un corpo plurale è impegnato in un movimento di fatica fisica e spirituale, in cui il respiro e il canto costituiscono il punto di origine della coreografia.
La metafora dell’ascesa è spesso impiegata per trasmettere l’idea di portare a compimento qualcosa, raggiungere un obiettivo o persino conquistare nuovi spazi. Cosa accade se invece non c’è nessuna cima da raggiungere e questo sforzo viene compiuto su una superficie infinitamente piana?
Fatigue coreografa corpi e voci impegnati a mantenere un equilibrio anche se forzati fuori asse o gravati da carichi extra-ordinari. In scena, si assiste a una materia continua di tensione fisica e vocale che produce la costante ricostruzione della presenza di questo corpo a più teste. Può apparire come uno spazio sia di lotta che di cura reciproca, nella creazione di un rifugio comune e della sua successiva dissoluzione, mentre il percorso prosegue al di fuori dello sguardo degli spettatori.