Flavia Dalila D’Amico: Un attacco In Levare in musica è posizionare l’accento su una nota debole, quel sospiro che ci allevia per un attimo da un continuo battere. In Levare però è anche ribellarsi, levarsi a rumore insieme. Per la tua vocazione e ricerca artistica, ti ritrovi più nella prima o nella seconda definizione?
Charlie Khalil Prince: Nella mia pratica, credo e difendo il diritto di mettere in evidenza le nostre “debolezze”, ovvero di proporre la nostra vulnerabilità come inseparabile dall’atto di ribellarsi. In un mondo che ci chiede di indurirci per poter sopravvivere, ritengo che sia un potente atto di resistenza cedere a ciò che ci rende vulnerabili. La pratica della danza è un grande veicolo per evidenziare le fragilità dell’umanità, che viene evocata all’interno del corpo sul palcoscenico che è, si muove, sperimenta e percepisce. Al di là della danza, è il potere della performance, dell’accettare di riunirsi in un luogo e in un momento specifici per assistere a un atto di rivelazione.
Esibirsi significa rivelare nel tempo. Ciò che scegliamo di rivelare e in che modo è ancorato all’artigianato della coreografia: Il corpo sinfonico” è stato costruito come una ‘performance-concerto’: ponendo la stessa enfasi sul gesto di suonare la musica e sul gesto di danzare, probabilmente estensione l’uno dell’altro. Mi raggiunge sul palco il brillante percussionista Joss Turnbull, specializzato nei tamburi iraniani Tombak e Zoorkhaneh. C’è una pulsazione profonda che ondeggia in questo lavoro, che sia attraverso il silenzio tra i toni percussivi, il suono ossessionante di un drone creato quando l’arco di un violoncello incontra le corde della chitarra, o il suono della guerra che spara da un microfono che gira. In Levare, in questo caso, è sollevarsi, permettere al corpo di ascendere in nuovi territori mitologici di se stesso, forse non immaginati in precedenza, ma certamente emergenti e in costante divenire.
Flavia Dalila D’Amico: In che modo The body symphonic incorpora le molteplici crisi che hanno colpito il Libano tra il 2019 e il 2021, e come risuona con la crisi attuale?
Charlie Khalil Prince: In una sorta di meditazione, quasi una preghiera, su ciò che il Libano ha passato negli ultimi anni, The body symphonic mi permette di esprimere il riconoscimento di un certo lutto, ma anche la celebrazione di questa incredibile forza della vita che resiste all’oppressione e all’occupazione. A volte ho l’impressione che passiamo da una crisi all’altra e che questo movimento diventi coreografia di come esistiamo e persistiamo.
Il corpo è un luogo dell’essere.
È materia che si modella, si deforma, che sale ed emerge.
È un luogo di rivoluzione, di oppressione.
Di rappresentazione e rappresentazione errata. Di interezza e frammentazione.
È la superficie dove si incontrano idee e azione.
È il contenitore di manifesti, di traumi, di domande senza risposta e di risposte fragili.
Lo stato della mia presenza nel “corpo sinfonico” può essere paragonato a uno specchio, e in questo specchio emergono le realtà attuali che riguardano me e la mia gente. Viviamo in un momento pericoloso, in cui assistiamo sui nostri telefoni, in diretta streaming, alla pulizia etnica di un’intera popolazione a Gaza e in Cisgiordania, in cui l’entità sionista genocida massacra interi villaggi in Libano, brucia le nostre foreste nel Sud e distrugge le nostre amate città nella più totale impunità. Tutto questo sotto il sostegno di governi occidentali fascisti. La rabbia e il dolore che provo si riversano inevitabilmente nelle mie performance, poiché il corpo è un archivio della storia e questa storia è inscritta nella mia carne. La danza è necessaria, che sia per celebrare, per piangere, per dimenticare o per ricordare; è una forza essenziale per reclamare il corpo, per ricordarci che siamo vivi e che, nonostante tutto, esistiamo.